Perdere bene: una competenza che allena alla vita
Nel mondo della performance, che sia sportiva, scolastica o aziendale, siamo spesso portati a vedere l’errore come un ostacolo, qualcosa da evitare, correggere o nascondere in fretta.
Ma cosa accadrebbe se cambiassimo prospettiva?
Gregg Popovich, allenatore leggendario dei San Antonio Spurs e coach più vincente nella storia dell’NBA, è noto per un tratto distintivo: ha la memoria corta dell’errore.
Quando un suo giocatore sbaglia, non lo punisce, non lo etichetta, non insiste.
Osserva, corregge e riparte. Non dimentica l’errore, ma non lo trasforma in una condanna.
È un atteggiamento che riflette una visione matura dell’apprendimento: non si cresce evitando l’errore, ma imparando a gestirlo.
Ed è lo stesso principio che dovremmo ricordare quando affrontiamo una sconfitta. Nella prestazione, come nella vita.
Perdere non è “vincere lo stesso”
Nella cultura contemporanea, a volte edulcoriamo la sconfitta con frasi consolatorie: “Hai perso, ma hai vinto lo stesso”.
L’intenzione è comprensibile, ma il messaggio è fuorviante.
Perdere bene significa affrontare la realtà per quella che è:
- Riconoscere che, nonostante l’impegno e la fatica, non è andata come volevamo.
- Sentire il dispiacere, il senso di impotenza, magari anche la frustrazione, senza doverli negare.
- Assumersi la responsabilità di quello che non ha funzionato, senza cercare alibi.
- Accettare che anche una prestazione generosa non sempre porta alla vittoria.
Non c’è nulla di romantico nella sconfitta. Ma c’è molto di formativo, se la si attraversa con lucidità.
Perdere bene è una competenza: richiede consapevolezza, equilibrio emotivo, capacità di visione.
Richiede quella forma di maturità che permette di non identificarsi solo con il risultato, ma di usare anche l’insuccesso come leva per crescere.
Un messaggio importante, soprattutto per i più giovani
Come psicologi e come educatori, abbiamo la responsabilità di trasmettere un messaggio chiaro: non è vero che chi perde ha fallito.
Chi perde e impara, ha vinto qualcosa di più profondo: la possibilità di conoscersi, migliorarsi, ripartire.
Se insegniamo ai ragazzi a vincere ma non insegniamo loro anche a perdere, li condanniamo a vivere ogni inciampo come un’umiliazione. E ogni errore come una minaccia alla propria identità.
Nel lavoro che svolgiamo con atleti, team sportivi e aziende, ci capita spesso di vedere come il vero cambiamento avvenga non “dopo una vittoria”, ma dentro una sconfitta.
È lì che si misura la solidità di un progetto, la qualità della leadership, la forza della mentalità.
Perdere bene non è rassegnarsi. È prepararsi a vincere in modo più consapevole.
Michaela Fantoni