Star bene si può!

Solo Elpis, la speranza, come in una casa indistruttibile, dentro all'orcio rimase, senza oltrepassarne la bocca, né fuori volò, perchè prima Pandora aveva rimesso il coperchio per volere di Zeus egíoco che aduna le nubi.

Elpis è ancora nel vaso.

IMPARARE A PARLARE: UN’AVVENTURA DI FAMIGLIA! Le tappe dello sviluppo linguistico e il ruolo dei genitori

Pubblicato da il Dicembre 3, 2020 in Coppie, Età evolutiva, Infanzia, Logopedia, Salute e benessere

IMPARARE A PARLARE: UN’AVVENTURA DI FAMIGLIA! Le tappe dello sviluppo linguistico e il ruolo dei genitori

Accade sempre più spesso che i genitori abbiano dubbi e perplessità sul linguaggio dei loro figli, e allora mi domandano: come si sviluppa il linguaggio? Che ruolo abbiamo noi genitori?

Il linguaggio è un sistema di comunicazione di straordinaria complessità, sebbene appaia piuttosto naturale e semplice. I bambini riescono a svilupparlo in un arco temporale relativamente breve, dalla nascita ai 3-4 anni quando diventano parlatori fluenti.

Grazie ai numerosi studi che sono stati condotti sul linguaggio e sulla comunicazione, oggi sappiamo che l’essere umano possiede una predisposizione genetica a sviluppare le abilità comunicative e linguistiche, e sappiamo anche che l’ambiente circostante ne influenza notevolmente l’andamento. Questo significa che i genitori e chi si occupa dei bambini, assumono un ruolo determinante nello sviluppo linguistico: l’adulto diventa partner e tutor comunicativo, offre un modello e fornisce stimoli adeguati all’età, parla, canta, racconta al bambino, e condivide con lui il gioco in una continua e reciproca relazione.

Lo sviluppo del linguaggio inizia all’interno dell’utero, infatti, già dalla ventesima settimana di gestazione il feto può sentire il battito del cuore della mamma, la sua voce e i rumori esterni. Dopo la nascita il cervello impara gradualmente a riconoscere le caratteristiche prosodiche e gli accenti propri della lingua a cui il bambino viene esposto. Sappiamo che i neonati ascoltano più volentieri e più a lungo i suoni di tipo linguistico rispetto a quelli diversi dal linguaggio, e preferiscono lo stile comunicativo della mamma che utilizza in maniera spontanea e del tutto naturale un linguaggio molto chiaro e semplice, lento e cantilenato (motherese o baby talk).

Nei primi mesi di vita il bambino comunica attraverso il pianto, il sorriso, i movimenti del corpo, e soprattutto, ascolta gli adulti che parlano con lui, si gira verso la fonte del suono, si spaventa se sente un rumore forte e improvviso.

È importante in queste prime fasi di apprendimento del linguaggio, mostrare grande interesse e approvazione nei confronti del bambino e dei suoi primi tentativi di comunicazione. Cerchiamo di parlare al bambino guardandolo negli occhi: il contatto e l’alternanza di sguardo rappresentano precursori essenziali dello scambio comunicativo, rafforzano la relazione e rendono maggiormente efficace la comunicazione.

Già qualche settimana dopo la nascita il bambino è in grado di produrre i primi vocalizzi, e solo intorno ai 5 mesi riuscirà a generare suoni consonantici, e si avvierà la fase della lallazione o babbling. Questa fase di scoperta viene realizzata dal bambino soprattutto come auto-stimolazione per sperimentare la propria voce, le possibili combinazioni di suoni e l’effetto che producono sull’ambiente che lo circonda, in particolare sui genitori.

Lo sviluppo della comunicazione non passa soltanto attraverso la voce, ma anche mediante il linguaggio del corpo e l’uso dei gesti. Tra gli 8 e i 16 mesi i bambini sviluppano uno dei più importanti prerequisiti del linguaggio: la capacità di indicare (pointing). Con questo “semplice” gesto il bambino inizia a svolgere un ruolo attivo nella comunicazione e rappresenta quindi una pietra miliare nel futuro sviluppo linguistico: mostra iniziativa comunicativa, chiede informazioni, desidera condividere l’attenzione su quell’oggetto. L’adulto che partecipa allo scambio, può fornire dettagli preziosi (come si chiama, come si usa, chi lo usa, ecc), può offrire l’oggetto al bambino per toccarlo e fornire le caratteristiche tattili e sensoriali (liscio, ruvido, caldo, freddo, odore, eventualmente il sapore, e così via). Il bambino inizia a conoscere il mondo che lo circonda in una continua scoperta in cui l’adulto rappresenta il mediatore.

Intorno all’anno compaiono le prime parole, generalmente parole semplici che vengono ripetute spesso (mamma, papà, pappa, nonno, ecc). Quando il vocabolario arriva a una cinquantina di parole intorno ai 18 mesi, il bambino riesce a usare singole parole con il valore di una frase (olofrase): per esempio potrà dire “Palla” abbinando il gesto della mano aperta a significare “Dammi la palla” oppure “Giochiamo con la palla”. Tra i 18 e i 24 mesi si assiste ad una vera e propria esplosione lessicale, durante la quale aumenta così tanto il numero di vocaboli che il bambino conosce e utilizza, da riuscire finalmente a combinare le parole in frasi. Anche in questo caso il ruolo di mamma e papà è davvero determinante: leggendo con il bambino il genitore lo aiuta a creare una raccolta sempre più ampia di parole, stimola la sua attenzione uditiva e favorisce l’acquisizione della struttura frasale, via via sempre più completa e complessa.

Dai 2 anni in poi il bambino costruisce frasi di complessità sempre crescente: utilizza il verbo e inizia a costruire delle frasi o delle richieste, e intorno ai 30 mesi le frasi anche se rimangono ancora incomplete, iniziano ad essere più lunghe e molto più articolate. Intorno ai 3 anni finalmente il bambino riesce a creare frasi complete utilizzando anche gli articoli e le congiunzioni, introducendo dei connettivi temporali e causali. I genitori possono aiutare il bambino a sviluppare il vocabolario e la morfosintassi sempre attraverso la lettura, ma anche parlando al bambino con un linguaggio adeguato all’età, possibilmente mettendosi alla sua altezza, in modo che si possa vedere bene anche l’articolazione dei suoni linguistici.

Intorno ai 4 anni il bambino possiede un inventario fonetico pressoché completo, sebbene ci sia una grande variabilità individuale. In italiano ci sono dei suoni che possono causare maggiori problemi di acquisizione, per esempio la r di rana, la c dolce di cielo, la z di zebra.

E se il bambino parla male? Cosa devono fare mamma e papà?

Il modo migliore per aiutarli è non correggerli! Anzi, i genitori non devono fingere di non capire, e nondevono chiedere di ripetere infinite volte, ma possono offrire il modello corretto della parola detta male dal bambino. Facciamo un esempio: se il bambino dice “vojo peppe” per “voglio le scarpe”, il genitore può rispondere alla sua richiesta modellando le parole nel modo corretto: “Vuoi le scarpe? Ecco qui le tue scarpe!”. Seguendo l’esempio il bambino imparerà a pronunciare le parole nel modo giusto. Se le difficoltà permangono, è bene informare il pediatra, il quale guiderà la famiglia verso una consulenza specialistica di un medico neuropsichiatra infantile, oppure di un logopedista.

E quand’è che i bambini iniziano a capire quello che gli viene detto?

Questa abilità è certamente più difficile da indagare, ma secondo uno studio del 1995 i bambini italiani intorno agli 8-10 mesi comprendono in media 30 parole, che diventano circa 200 a 18 mesi. Questo risultato suggerisce che l’abilità di produzione e quella di comprensione, pur essendo strettamente collegate, non evolvono con lo stesso ritmo: i bambini conoscono e comprendono molte più parole di quelle che riescono a produrre.

Il linguaggio è un’abilità complessa, talvolta capita che ci siano dei ritardi, oppure che il suo sviluppo non avvenga secondo le tappe canoniche. Se avete qualsiasi dubbio o domanda, non esitate a chiedere informazioni a un esperto: potreste ricevere una rassicurazione e consigli utili, oppure potreste essere indirizzati verso un approfondimento del quadro linguistico e comunicativo del vostro bambino. In ogni caso, la prevenzione e la tempestività dell’intervento logopedico migliorano molto la prognosi e possono essere risolutive.

Laura Lazzari

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